Le assunzioni e la filosofia di Google

Sono decine di migliaia le richieste di assunzione. Ma ottenere un posto non è facile. Ogni candidato, dopo le preselezioni, viene sottoposto ad almeno 10-15 colloqui in ogni parte del mondo. La scelta è una decisione collettiva. Si dice che l’ultimo ok, sul dossier dei curricula e dei giudizi, venga vergato da Larry Page in persona. Forse è una leggenda metropolitana. Ma questo imprimatur del grande «patriarca» aumenta il senso di appartenenza alla grande famiglia Google.

Entrando nella stanza d'albergo, ogni ospite ha trovato un biglietto con due nomi. Uno – come dice la lettera di istruzioni in inglese – è il «tuo» nome, l'altro è quello di un collega straniero, sconosciuto. Il compito ludico è rintracciarlo, escogitando qualsiasi tattica, e alla fine farsi fotografare insieme. La missione non è impossibile. E’ semplicemente un po' ardua, perché i 1500 ospiti non portano cartellini di riconoscimento. Ma filologicamente adeguata ad una persona che lavora in google, il maggiore motore di ricerca, quello che ci risolve la vita su internet, aiutandoci a trovare ogni cosa, dalla caduta dell'impero romano alla ricetta del pesto.
Da ieri, per due giorni, a Courmayeur sono riuniti tutti i dipendenti della google europea, dall'Italia (una cinquantina), agli informatici di Zurigo, al quartier generale di Dublino. 1500 persone diverse per compiti, mansioni e stipendi. Ma assai simili nel look e nello spirito. Tutti sono i portatori sani della filosofia google, elaborata dai fondatori Larry Page e Sergey Brin nel '98, e messa in pratica giorno dopo giorno in ogni angolo del mondo. «Da noi conta la sostanza, non la forma. E' possibile essere seri senza giacca e cravatta».

E così tra il popolo dei googlers che ieri mattina s'è infilato nel Forum Sport Center di Courmayeur, per la blindatissima convention, con i carabinieri che controllavano e il servizio di security che lasciava entrare solo chi aveva al polso il braccialetto di plastica ufficiale, non spiccava neppure un giacca-e-cravatta. Tante felpe, giacconi, maglioni. E molte Nike. Qualche chioma colorata c'era, orecchini e look eterodossi pure, ma nessuno s'immagini la stravaganza dei vecchi alfieri della new economy ormai tramontata.
I googlers sono persone normalissime. E' il loro stile di lavorare che è anomalo. In un sondaggio, la rivista «Fortune» ha stabilito che Google è l'azienda dove si lavora meglio al mondo. Ottimi risultati, ma anche allegria e soddisfazione dei dipendenti, a qualsiasi livello.
La sede è una specie di leggenda. Il googleplex a Mountainview, California, è stato costruito sull'idea che il lavoro deve essere una sfida e che questa sfida deve essere divertente. Non ci sono uffici tradizionali, c'è chi gira in rollerblade, e chi in minimoto. Alcuni alti dirigenti conservano la scrivania degli antichi tempi spartani: una porta appoggiata su due cavalletti. Le riunioni possono svolgersi in fila alla mensa, dove trovi ogni tipo di cibo, cucinato da cuochi raffinati. «Io una volta ho parlato con Sergey al bar – dice un ragazzo tedesco -. Ero appena stato assunto, lui aveva le infradito ai piedi e la mazza da hockey, perché aveva finito una partita».

La sede google di Milano riproduce lo spirito di Mountainview. «Anche noi lavoriamo in un grande open space, dove tutti condividono lo stesso tipo di informazioni. Chiacchierare davanti a una tazza di caffè è importante quanto discutere in riunione. Non esistono orari, pause, ognuno dà il meglio di se stesso. Naturalmente non siamo un eden, ma quando la gente è motivata lavora benissimo. Le gerarchie ovviamente ci sono, non vengono però sottolineate da segni esteriori. Le scrivanie sono tutte uguali, sovente chi comanda non ha la segretaria, e rispondoe alle telefonate come fa un neoassunto. I capi in google sono carismatici, ma anche empatici. Se offri rispetto, lo ricevi».
La ricreazione è centrale quanto la produttività. Giulia, 40 anni, dice che la sede di Milano comincia a essere un po' stretta. «Ho scritto al quartier generale che fra poco dovremo rinunciare a qualcosa. O alla sala delle riunioni, o a quella del calcio balilla. Ma ho anche spiegato che senza le partite la produttività potrebbe risentirne». Giulia è il «Facility Manager», il manager che maccheronicamente «rende facile» la vita ai dipendenti. Dalle matite alle sedie, ai viveri. Ogni mattina i googlers italiani trovano in ufficio croissant caldi o müsli per colazione (gratis). E un frigo pieno di bevande, yogurt, dove possono attingere (gratis), senza il tipico rito della chiavetta da «camera cafè».

I padri fondatori hanno voluto fin dall'inizio che l'azienda fosse come una grande famiglia. Ogni dipendente, per esempio, possiede un badge che permette di entrare in qualunque istante in qualunque sede google al mondo. Insomma una specie di utopico falansterio globale, e non un tipico «non luogo» del capitalismo avanzato. Per questo google ama anche che i suoi dipendenti viaggino, si conoscano, si vedano faccia a faccia, perché pur lavorando in un mondo virtuale come quello della rete, credono che il contatto umano e reale sia fondamentale. Nelle convention, come quella di Courmayeur, è importante parlare di lavoro, ma anche divertirsi. Mescolarsi, fondersi, scoprirsi. Per questo si chiama «melt down», espressione che in inglese significa sciogliersi come un gelato al sole o fondersi come metalli nel crogiuolo. E così dopo il mega raduno, il programma prevede sci, terme, massaggi, discoteca, feste. Ogni googler si è trovato nella busta di benvenuto dei buoni per bere. C'è chi si conosce suonando al pianoforte, chi si tuffa coraggioso in una piscina all'aperto, chi si dedica al flirt.

Cosa piace della Google al popolo google? Rispondono in sintonia, uomini e donne, tedeschi o francesi, ventenni e quarantenni. Sembra di leggere i quaderni del giovane Marx, quando teorizzava il lavoro non alienato. «Il clima di fiducia». «In quattro anni non ho mai trovato gelosie, imboscate, colpi bassi». «Se sono indietro con il lavoro c'è sempre qualcuno che mi aiuta. E lo fa gratis. Senza andarsi a vantare col capo». «Se ho mal di testa posso andare a casa e se voglio posso andare a lavorare la domenica pomeriggio o la sera quando esco dal cinema». «Mi chiedono in continuazione opinioni e idee e ci tengono che sia soddisfatta».

L'età media è intorno ai 28-30 anni. Ma non è un'azienda rigorosamente giovane. «Abbiamo bisogno dell'esperienza di chi è più anziano. L'età, o il sesso, non contano niente». Anche il denaro conta relativamente poco. Google non offre stipendi particolarmente elevati, anche se tutti i dipendenti ricevono stockoption. «Quando scegli Google non sai nemmeno qual è lo stipendio – dice Greta, 35 anni, entrata a giugno, dopo una lunga esperienza in altre aziende – lo scegli perché è un modo diverso di lavorare. Ti dicono alla fine, dopo 10-15 colloqui, quanto guadagnerai. E va bene così».

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;2007 La Stampa)