Edwige nazionale – Padre maltese, mamma italiana, nata in Algeria, arrivata in Francia, celebrata in Italia. Edwige Fenech, più che una bellezza mediterranea ne è l’essenza e ancora oggi il suo sguardo languido miete vittime. L’ultima conquista? Quentin Tarantino che l’ha fortemente voluta in Hostel 2, il sequel del fortunato horror gore scritto e diretto da Eli Roth e prodotto dall’eclettico regista. Certo, più che altro si tratta di un cameo – omaggio a un certo tipo di filmografia per la quale Tarantino ha più volte dichiarato la sua passione, ma Edwige ha di che essere soddisfatta.
Benedetta da Quentin Tarantino, venerata dal giovane talento Eli Roth, riscoperta con estatico rispetto e piazzata lì, dentro un film grondante sangue e paura, Hostel part II, in un piccolo cameo che la vede di nuovo insegnante, stavolta d’arte. Così Edwige Fenech, da quindici anni assente dagli schermi, si prende la sua rivincita e appare vestitissima (con un ragazzo completamente nudo, pronto per essere ritratto, alle sue spalle), davanti a una macchina presa che ne mette in luce la bellezza immutata, indenne dagli interventi chirurgici seriali che affliggono tante sue coetanee.
Il cadeau è firmato Tarantino, produttore della pellicola, ultimamente divenuto grande accusatore del cinema italiano: «Ci siamo conosciuti a Venezia due anni fa, lui mi ha chiesto subito se mi sarebbe piaciuto tornare sul grande schermo, gli ho detto che no, non avevo assolutamente nessuna intenzione di fare un passo del genere. Lui ha insistito, “neanche se te lo chiedessi io?”, io ho risposto che allora si, certo, sarei tornata». Poi c’è stato l’incontro con Eli Roth, un ragazzo bruno e talentuoso, aria impaziente, sguardo febbrile, unico attimo di tregua quello in cui, mentre discute e argomenta, trova la mano della Fenech e la stringe, improvvisamente domato: «Mi ha così meravigliato scoprire che un ragazzo della sua età potesse sapere tutte quelle cose sui miei film, sono rimasta veramente sbalordita. Ho considerato quest’offerta di lavoro come un atto d’amore da parte sua e di Quentin, come l’omaggio a un’attrice che ha segnato profondamente la loro formazione cinematografica. Sul set è stato un po’ come vivere un ménage a tre, sono stata benissimo».
A differenza degli altri interpreti, vittime di orribili torture, Fenech resta viva e vegeta: «In tanti mi hanno chiesto com’ero stata uccisa, ma è chiaro che non mi hanno fatta fuori, sennò che omaggio sarebbe stato?». Basta sentir parlare Eli Roth per capire che un simile affronto era impensabile: «Edwige sembra più giovane di qualunque altra attrice, è la migliore, l’ho sempre trovata superba, riflettendo non riesco a trovare nessun’altra interprete americana capace di esprimersi a livelli tanto alti in film così diversi. Guardandola recitare ho sempre urlato tutta la mia ammirazione». Complimenti meritati, magari difficili da prevedere da parte di chi, all’epoca del gran successo popolare, aveva bollato Quel pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda oppure la saga dell’Insegnante come semplici esemplari di cinema trash. Fenech non ha mai cercato di oscurare quel pezzo di vita professionale e adesso può raccogliere soddisfatta i frutti della sua coerenza. Quanto a Roth si sa che è andato a scuola da Tarantino e che lì è avvenuta la grande folgorazione. Di titolo in titolo, la carriera di Edwige, star indiscussa della commedia erotica italiana nel periodo d’oro ‘70-‘80, gli si è ricomposta sotto gli occhi: «La ricordo in tanti film, per esempio nello Strano vizio della signora Ward, capace di essere calda, ma anche fredda».
Quel cinema ha lasciato il segno, è pensando a quelle pellicole che Tarantino ha lanciato il suo anatema con l’attuale produzione nostrana: «La sua battuta – dice Fenech – è stata interpretata in modo sbagliato, credo che Quentin volesse esprimere il suo rammarico per il fatto che oggi in Italia non esiste più il cinema di genere e io aggiungo che il problema è anche nel fatto che i nostri film non vengono veicolati all’estero, quindi di quello che oggi si fa da noi si conosce molto poco». Roth è perfettamente d’accordo: «Credo che la dichiarazione di Tarantino sia stata presa male e male interpretata, sicuramente deriva dalla sua tristezza per il fatto che il cinema italiano non è come quello di trent’anni fa, quando era più libero e produceva di più e di tutto, da “Salò” alle commedie sexy. Comunque la sua osservazione potrebbe anche risultare utile, magari si potrebbe trovare qualche misura per tornare a quella vitalità».
Lui, intanto, promette di non girare un Hostel numero tre, ce l’ha messa tutta per riempire l’ultima storia di metafore sulla situazione dell’America di oggi e non ha nessuna intenzione di replicare: «Ho cercato di far emergere il lato oscuro del capitalismo, le cose in Usa sono molto peggiorate, odio sempre di più Bush e Cheney, la gente ha la sensazione che chi ha i soldi possa decidere chi vive e chi muore».
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